16/06/2008

Nello specifico, guardando alle vendemmie a valle del cambiamento climatico di fine anni '80, si può osservare che si è assistito ad una serie di vendemmie buone in termini di alcol e colore. A volte tuttavia la spinta produttiva legata alle elevate risorse termiche e radiative, ha colto di sorpresa i viticoltori e gli enologi traducendosi in problemi di eccesso di alcol e corpo, problemi che sono stati ulteriormente enfatizzati dall'entrata in produzione di nuovi vigneti caratterizzati da cloni migliorati e sesti d’impianto ottimizzati. La lezione che si deriva da tali problemi è che in vigneto e in cantina occorrono tecniche adeguate al nuovo clima con cui abbiamo a che fare dagli anni 90.
Altro aspetto cruciale cui ci richiama il nuovo clima è la necessità di una migliore gestione delle risorse idriche. Niente di rivoluzionario, in quanto in sostanza ci viene richiesto di applicare al meglio le tradizionali tecniche di aridocoltura. In particolare si rivela essenziale la definizione di una strategia del deficit controllato che consenta di evitare sia gli stress idrici drastici sia le situazioni di eccesso idrico. Se infatti un deficit idrico drastico può mettere a repentaglio la produzione, situazioni di eccesso idrico persistente tendono a spostare gli apparati radicali verso la superficie rendendo la vite più sensibile a future situazioni di carenza idrica. Da favorire è inoltre l'insorgere di lievi deficit in post-invaiatura, notoriamente favorevoli alla qualità.
Circa i nuovi impianti occorre rilevare che gli scenari delineati dai modelli climatici globali (GCM) per i prossimi decenni sono afflitti da elevatissimi livelli di incertezza. In sostanza non è possibile oggi affermare con sufficiente attendibilità che “in futuro farà sempre più caldo”. Pertanto eseguire impianti al di fuori dei limiti altitudinali e/o latitudinali della vite espone ad un rischio imprenditoriale legato ad esempio alle gelate tardive che l'agricoltore dovrà comunque assumersi. Una regola aurea da questo punto di vista può essere quella di ipotizzare per i prossimi anni la stazionarietà del clima attuale ed in tale ipotesi svolgere le scelte strategiche in termini di varietà, sistema di allevamento, sesti d'impianto, sistemi di irrigazione, ecc. In proposito si noti che in termini quantitativi il clima attuale può essere ragionevolmente considerato come rappresentato dai valori medi ed estremi di temperatura, precipitazione, radiazione solare e vento del periodo 1990-2007.
Alcune considerazioni specifiche merita inoltre l'effetto annata: infatti al persistere la variabilità interannuale tipica dell'ultimo ventennio siamo in grado di produrre vini con stili anche molto diversi, per cui ai vini “Oceanici” tipici di annate più fresche (es: 2002) potranno alternarsi nelle annate più calde (es: 2003) vini “Mediterranei”, con sapori di spezie e frutti maturi. In relazione a ciò si tratta di collegare fra loro enologi e marcheting, in modo tale da definire se sia meglio puntare su un prodotto stabile nel tempo nonostante la variabilità meteorologica interannuale, ovvero valorizzare tale variabilità puntando su prodotti immediatamente riferibili all'annata di produzione. In altri termini: variabilità enologica interannuale da appianare oppure da enfatizzare?
Infine un invito ai viticoltori: se le variabili meteorologiche (radiazione solare, temperatura, umidità relativa, precipitazione, vento, ecc.) sono sempre più una risorsa con cui fare i conti, è necessario giungere al più presto ad una visione quantitativa attraverso misure meteorologiche svolte in azienda. E qui si parte dalla registrazione della copertura nuvolosa e dei fenomeni meteorologici significativi alle misure svolte con idonei strumenti meteorologici (pluviometri, termometri, anemometri, radiometri, ecc.) da installare secondo modalità standard definite dalle normative internazionali di settore.
Luigi Mariani (Università degli Studi di Milano) – www.asa-press.com
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